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Hermine Wittgenstein
Mio fratello Ludwig, l’architetto
Lavorò con il suo solito impegno travolgente, sicché ogni cosa venne effettivamente realizzata con la voluta esattezza.
Ricordo ancora la volta che il fabbro chiese delucidazioni in merito al buco della serratura: “Ci dica ingegnere, perché un millimetro qui ha tanta importanza per lei?”
Pier Paolo Pasolini
I giovani e l’attesa
Tre scritti giovanili (1942-1943)
Presentazione di Mario Ricci.
Abbandonata senz’altro la facile pompa di una giovinezza intesa come gagliardia o fresca prepotenza, ci ritroveremo dispersi ed umili, in mezzo alla folla che ci soverchia. Coscienti che, prima di essere degni delle nostre speranze, dovremmo segretamente patire in intensità tutte le distese esperienze di chi ci ha preceduto, non abbiamo nemmeno timore di ammettere l’impotenza, o, almeno, l’acerbità, di questo nostro stato d’attesa. Tuttavia quasi spinti da un meccanismo che ci trascende, muoviamo verso il futuro e apriamo le nostre voci, ma chiudendo gli occhi, abbandonandoci, come presaghi della vana fatica e della fine.
Arnaldo Beccaria
L’ultima visita a Giorgio Morandi. Via Fondazza 36
Viene intanto una sorella a intrattenermi, poi un’altra: dolci, gentili, riservate, vagamente conventuali. “Giorgio viene subito”, mi dicono. Morandi ama indugiare a letto la mattina, perché di mattina non dipinge mai; soltanto nelle prime ore del pomeriggio.
Anna Lo Giudice
Surrealismo. Zurigo 1916. Parigi 1924
Tristan Tzara (pseudonimo di Samuel Rosenstock, 1896-1963) romeno di nascita, ma svizzero di adozione, è proprio a Zurigo che ha voluto fondare il suo movimento d’avanguardia: Dada (1916). Movimento in reazione contro la prima grande guerra; non è un caso che esso nasca in un paese neutrale e pacifico...
Il luogo privilegiato dai surrealisti, è uno solo, ed è, indubitabilmente, la strada...
Contiene:
Parigi surrealista e le strade del desiderio
Tristan Tzara e il surrealismo
Antonello Lombardi
Il poema dell’odio
Uno scambio epistolare tra Alban Berg ed Elias Canetti, nei mesi in cui vedono la luce il "Concerto per violino" e "Auto da fé".
Due opere cardinali del Novecento nate nello stesso istante, entrambe interpreti – seppure con linguaggi differenti – di una difficoltà a tratti insormontabile nel decifrare le metamorfosi di una borghesia orfana di certezze secolari; entrambe alla prese con rinnovati sistemi ermeneutici atti a captare inediti parametri esistenziali; entrambe infine, ma le similitudini potrebbero non fermarsi qui, aventi nell’uso simbolico dei numeri uno dei loro tratti distintivi.
Roberto Fregna
L’utopia della rivolta di Alcàra Li Fusi. Raccontata da Michele Fano Sanfratellano che da monaco si fece zappatore
“So che non mi stimerete reo d’iperbole, se mirando superficialmente le sole volute di una chiocciola rifletterete alla pena che hanno i Geometri nel disegnarla con regola, e per quanto ve ne adoprino, pur sempre è falsa; mentre la compongono d’una portione di circolo sempre più piccolo, essendo esse non circolo, benché sembrino circolari”. 1681
Gianni Scalia
Heidegger Marx Heidegger
Ma ciò che si impone come compito del pensare alla fine della metafisica, dice Heidegger, è quello di pensare l’essere come essere, l’essere come tale, non l’essere come qualcosa. L’ultimo pensiero della metafisica occidentale è stato di pensare l’essere come “valore”, cioè come ciò che è ‘disponibile’. C’è una frase di Marx: “Il lavoro non ha valore”.
Il lavoro non ha valore, che sarebbe come dire che l’essere non ha valore. Bisogna fare un altro passo e dire: caro Marx, è vero, non ha valore il lavoro, ma il lavoro non ha valore perché non ha valore l’essere. Se tu al posto dell’essere mi dici che l’essere è lavoro, cioè produzione, mi ritorna il valore. E non strapperai più, non dissocerai più l’essere dal valore perché ci hai messo dentro il lavoro.
Del resto non si tratta di essere né fedeli né infedeli. Dice René Char, che è un poeta (quindi dopo un filosofo come Marx e uno strano filosofo-poeta come Heidegger, concludiamo con un poeta come Char): “Nella fedeltà noi impariamo a non essere mai consolati”. Quindi, vogliamo essere fedeli? Impariamo a non essere consolati. Non ci resta che disperare e sperare nella “Gelassenheit” e, a quest’ora ormai tarda, chiedere all’oste un bicchiere di vino.
Vanni Ronsisvalle
L’autunno del continente
Il giorno del mio decimo compleanno, secondo anno di guerra, la città di Messina fu bombardata con tecnica assolutamente nuova, in certo senso rivoluzionaria dal punto di vista del giuoco che si era fino ad allora giuocato. Vale a dire che i nostri nemici vennero in pieno mezzogiorno e vennero ad ondate successive liberandosi su Messina della più grossa quantità di esplosivo che mai fosse piovuta da quelle parti; in realtà diedero inizio a quel tipo di incursione che dopo, nelle memorie tecniche di quella guerra, sarebbe stata comunemente definita bombardamento a tappeto.